Festa della Toscana: la comunità di Volterra accoglie Marco Cavallo, l’opera simbolo della libertà e della chiusura dei manicomi. L’appuntamento martedì 30 novembre alle ore 10 in Piazza dei Priori.
VOLTERRA. L’Amministrazione Comunale di Volterra, il 30 novembre prossimo, in occasione della Festa della Toscana, intende organizzare un momento di importante riflessione comunitaria con un grande evento collettivo che sarà di fatto uno degli eventi conclusivi delle attività di Volterra22 Prima Città Toscana che ha incentrato il suo operare sul tema della “rigenerazione umana” attraverso la cultura, individuando nel manicomio e nel carcere presenti nella città di Volterra due pilastri ispiratori.
Nei giorni precedenti e successivi saranno inoltre programmati una serie di importanti incontri ed attività collegate. Sarà il modo più giusto e vitale per celebrare la Festa della Toscana 2022 e rappresentare appieno il tema della “rigenerazione umana” di Volterra22 Prima Città Toscana della Cultura, rinnovando quanto accadde nella meravigliosa festa del 25 febbraio 1973, quando Franco Basaglia distrusse con una panchina di ghisa il muro di cinta dell’Ospedale psichiatrico triestino di cui era Direttore e nella quale si celebravano libertà e diritti civili.
MARCO CAVALLO. L’opera fu realizzata nel 1973 all’interno del manicomio di Trieste da un’idea di Giuseppe Dell’Acqua, Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia.
I lavori veri e propri erano cominciati già un anno prima, quando, dopo aver aperto le porte a Gorizia, Franco Basaglia era approdato a Trieste. All’interno della struttura, infatti, si svolgevano diversi laboratori e, proprio dall’incontro tra le nuove attività e la voglia di fare insieme, nacque l’idea di questo fantastico progetto. Il promotore di ciò, però, non fu Franco, ma un certo Vittorio Basaglia – cugino del noto psichiatra e docente all’Accademia di Belle Arti di Urbino – che non solo promosse il progetto, ma si prestò a lavorare insieme alle persone internate, tutti i giorni, intensamente, dalla mattina alla sera per un anno, dedicandovi anima e corpo, e tanta passione. L’azzurro cavallo non nacque come una semplice intuizione, ma fu molto più ragionata. Era infatti un po’ di tempo che, all’interno delle riunioni e degli incontri tra utenti e operatori, si discuteva di creare qualcosa di manuale da costruire insieme. A queste assemblee partecipò anche Vittorio e tutti insieme arrivarono a pensare che, anni prima, proprio in quel manicomio, aveva vissuto realmente un cavallo molto amato, il quale fu salvato dal macello, proprio dagli utenti dell’epoca. Questo cavallo si chiamava Marco, il nome fu dato proprio dagli stessi pazienti che gli volevano molto bene. Il suo ruolo era quello di trainare il carretto della lavanderia, con i rifiuti e i materiali di scarto del manicomio; fino a quando, nel 1959, il cavallo era divenuto ormai anziano e non riusciva più a reggere tale fatica. Secondo molte persone doveva quindi essere abbattuto, perché non più utile. Ma i pazienti non accettarono che al povero animale toccasse tale sorte e riuscirono a giungere a un compromesso: questo consisteva nel far sì che l’ospedale si prendesse cura di lui, versando una somma pari a quella corrispondente alla vendita del cavallo.
Per ricordare questo fatto, nel 1973, l’impresa fu finalmente compiuta e, simbolicamente, all’interno della pancia di Marco Cavallo, un prorompente equino alto ben quattro metri, furono inseriti tutti i sogni e i desideri di chi era ospite dell’ ospedale. Quando, qualche anno dopo, Basaglia riuscì a far approvare una delle leggi più rivoluzionarie della storia: la Legge 180, detta anche “Legge Basaglia”– che sancì la chiusura dei manicomi – si decise che questo cavallo dovesse diventare il simbolo della libertà, e il destino volle che le cose andassero davvero così. Questa scultura, infatti, era troppo grande per passare dai muri del manicomio e, quando si organizzò una grande festa per far conoscere al mondo questa meravigliosa creatura, ci si accorse che non riusciva a superare la porta. Per questo, si decise che l’unica possibilità doveva essere quella di rompere i muri (ma romperli davvero!) e far diventare questo gesto qualcosa di simbolico, qualcosa che fosse una concreta rappresentazione della libertà e dei diritti di tutte le persone con disagio mentale: l’abbattimento delle barriere e della chiusura. E fu così che Marco Cavallo diventò, nella storia della psichiatria e nei cuori di tutti, il simbolo della libertà.