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Consegna del premio Santa Croce a Giuseppe Lambertucci

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Il pittore santacrocese lancia un messaggio ai giovani: «Se avete una passione non rinunciate e seguite la vostra strada con indomita grazia come i miei cavalli»

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Un premio alla carriera, si direbbe se fossimo alla notte degli oscar. Questa mattina il premio Santa Croce, alto riconoscimento che viene assegnato ogni anno il giorno di Santa Croce a un cittadino illustre che si è distinto in vari ambiti come previsto dal regolamento, è stato assegnato al pittore Giuseppe Lambertucci. Un premio alla carriera di pittore e incisore o come forse è meglio dire di artista. Un premio che per altro è stato assegnato all’unanimità dalla commissione paritetica che per quest’anno era composta dai consiglieri Enzo Oliveri e Amedeo Della Maggiore per la maggioranza, mentre la minoranza era rappresentata da Mariangela Bucci e Angelo Scaduto, la presidenza spettava come da statuto al sindaco Roberto Giannoni.

Su Lambertucci c’è stata piena convergenza con una motivazione schiacciante e condivisa: «Il maestro Giuseppe Lambertucci si è distinto, nel corso della sua vita, sia come persona che come artista. Ha partecipato alla vita artistica del paese con attenzione e discrezione ed autentico spirito di collaborazione, senza mai venir meno all’espressione dei suoi valori.
Come artista la continuità del suo lavoro lo ha visto dedicare all’arte tutta la vita. La coerenza della poetica dei suoi temi, insieme ad una passione che lo ha portato a non smettere mai di fare ricerca, lo rendono meritevole di questo Premio che lo porta ad essere un esempio per le future generazioni».
Durante la cerimonia nella sala del consiglio comunale era presente oltre a Giuseppe Lambertucci l’amico pittore, anche lui santacrocese Romano Masoni, il critico d’arte Nicola Miceli, l’editore Andrea Mancini. Per l’amministrazione ha partecipato una nutrita rappresentanza consiliare con molti consiglierei e assessore e vari esponenti della minoranza tra cui i membri della commissione Bucci e Scaduto. Il pubblico è stato numeroso e attento alla cerimonia.
Lambertucci con la sua verve tutta toscana e con una capacità narrativa accattivante ha brevemente ripercorso alcuni aneddoti della sua carriera, dei suoi viaggi artistici, l’incontro casuale con una giovane Gianna Nannini, che saputo che era santacrocese gli chiese di Don Backy e gli affidò un messaggio per il concittadino cantante.
Poi Lambertucci ha detto: «Avrei molti aneddoti da raccontare che ho vissuto durante la mia carriera artistica ma, forse questa non è né nella sede né il momento opportuno. Ad ogni modo vorrei lanciare un messaggio alle giovani generazioni di santacrocesi. Che è quello di credere sempre nei propri sogni e nella propria ispirazione percorrendo sempre con fiducia la strada che porta alla loro realizzazione con forza, senza timori o tentennamenti e con indomita grazia come quella dei miei cavalli che volano nell’azzurro dei miei cieli».

Intervento di Giuseppe Lambertucci

Lambertucci ha continuato dicendo: «Il premio mi da l’occasione di fare un bilancio della mia vita artistica e di poter rivolgere un grande ringraziamento soprattutto ai santacrocesi che sono stati i miei primi mecenati, collezionisti ed estimatori del mio lavoro.
E’ infatti grazie a loro e alla loro fiducia se io ho potuto crescere con la mia arte, farmi un nome, viaggiare in tutta Italia e all’estero e conoscere artisti famosi, con i quali ho potuto lavorare fianco a fianco e persone importanti e determinanti per la mia carriera artistica.
Ogni persona che ho avuto la fortuna di conoscere è stata promotrice di altre benevole conseguenze per il mio lavoro e motivo di andare avanti con maggior vigore.Come non ricordare i giornalisti Mario Lepri in primis e poi Luciano Gianfranceschi che in questo territorio hanno sempre seguito e raccontato le mie opere sin dalle prime mostre e dai primi successi.
La Santa Croce da autodidatta quando l’arte ad un certo momento della mia vita – ero più che trentenne – mi ha chiamato. Io facevo tutto un altro lavoro, ero stato imprenditore conciario assieme a mio suocero, facevamo un ottimo cuoio all’inglese per calzature. Poi ho avuto la vocazione e l’Arte mi ha chiamato a sé, mi ha rapito. Ricordo che, proprio agli inizi della mia carriera, di giorno lavoravo e di notte dipingevo freneticamente quasi rapito dalla voglia di esprimermi. Poi vennero i primi concorsi di pittura e i primi premi, in una occasione dei quali ho avuto la fortuna di conoscere e avere come estimatore del mio lavoro il regista e scrittore Mario Soldati la cui amicizia mi accompagnerà poi durante tutta la sua vita.
I miei quadri piacevano e iniziai a farmi conoscere. In breve tempo mi fu commissionata una grande opera per la chiesa delle Capanne e realizzai una crocifissione; un grande quadro che mi dette l’opportunità di mettermi veramente alla prova. Poi seguì il ritratto al vescovo Ghizzoni e da lì tantissime altre cose, tante mostre personali in ogni parte d’Italia e all’estero che mi hanno fatto viaggiare molto e fatto conoscere tanti nuovi amici e personaggi importantissimi per la mia carriera ognuno dei quali si è, poi, sempre rivelato fondamentale per la mia crescita artistica.
Poter coltivare la propria passione artistica per oltre 50 anni di carriera con grandi soddisfazioni di pubblico ha tuttavia anche il suo prezzo che in parte hanno pagato affettivamente mia moglie e i miei figli che hanno il pregio di essermi sempre stati accanto sostenendomi nonostante non sia per niente facile convivere con i sogni e la fantasia di un artista la cui fonte di unico sostentamento familiare è l’arte stessa.
Se dovessi individuare una tematica ricorrente nelle mie opere direi proprio il legame con il territorio che ci circonda. Quello santacrocese con il suo lavoro affiancato dai paesaggi dei colli sanminiatesi o fucecchiesi e dal padule, ambiente che ho avuto la fortuna di frequentare quando era ancora popolato da una civiltà di uomini palustri, oggi completamente spariti, che preservava quelle oasi di natura e vi traeva il proprio sostentamento. E poi come non ricordare gli immancabili cavalli amati da molti che per me sono sempre stati un simbolo di libertà da dipingere in voli sfrenati verso l’azzurro del cielo. Un simbolo di forza, di grazia e di indomita positività che pervade moltissimi delle mie opere».

Intervento del sindaco Roberto Giannoni

Durante la cerimonia l’assessore alla cultura Simone Balsanti ha ricordato il regolamento con cui viene assegnato il premio e il sindaco Giannoni nel consegnare il premio ha sottolineato: «Quest’anno il premio è andato a Giuseppe Lambertucci, un uomo che non ha preso scorciatoie nella sua vita. Lavorava in conceria e magari, se fosse rimasto a lavorare nel settore delle pelli, avrebbe avuto anche una vita più facile e più agiata. Ma ha sentito questo fuoco dell’arte dentro di sé e ha preso una strada più lunga, ma che ora alla sua età gli dà una grande soddisfazione. Voglio anche io dare un messaggio ai giovani e lo dico volentieri, visto che domani comincia il nuovo anno scolastico, Questo premio a Lambertucci è un esempio per tutti i ragazzi uno stimolo a non prendere mai scorciatoie, ad aspirare in alto, perché la strada è più lunga, però poi tutta la vita si prova la soddisfazione di fare quello che ci piace fare. Mi auguro che i nostri ragazzi prendano spunto da questo premio e dalle persone a cui è stato assegnato fino a ora, lo scorso anno a Piero Conservi, quest’anno a Giuseppe Lambertucci».

LAMBERTUCCI SPIEGA LA SUA PITTURA

La storia umana e professionale di Giuseppe Lambertucci, che oggi è stato premiato con il più alto riconoscimento della sua comunità, il premio Santa Croce, è quella di un uomo d’altri tempi, di un artista del ‘900, che al di là della retorica del pittore autodidatta, in realtà racconta la vita di un intellettuale a cui era stato negato per varie vicissitudini l’accesso agli studi artistici da ragazzo, ma che non si è rassegnato e che dentro di sé trova la forza e la volontà di esprimersi.
Una forza che viene da chi ha qualcosa da dire e che non lascia spazio a incertezze e dubbi. Nato a Bientina nel 1936, cresce a Ponte a Cappiano, dove nella piazza del paese vi è un maniscalco la cui bottega a tutte le ore del giorno è frequentata da cavalli, che Lambertucci ragazzo osserva attentamente: un dato biografico non da poco, visto lo sviluppo della sua futura pittura.
Dopo le scuole medie interrompe gli studi, nonostante le raccomandazioni del professore di Disegno alla famiglia di fargli continuare la formazione artistica.
Ma verso i 30 anni la vocazione artistica torna a manifestarsi con prepotenza e da lì inizia un’avventura nel mondo artistico e intellettuale del tempo a cui Lambertucci si approccia sempre con grande umiltà e umanità e con la semplicità di un toscano, che sa osservare la realtà per poi restituirla in forme e significati nuovi attraverso il gesto artistico.
 Tecnicamente si forma da autodidatta quindi, ma arriva presto a padroneggiare le tecniche e soprattutto il disegno che ha coltivato fin da bambino. Da buon toscano, per lui il disegno anche se poi nello sviluppo maturo forse si assottiglierà un po’, è fondamentale e rappresenta il momento conoscitivo della realtà per l’artista. Ma non poteva essere altrimenti: Lambertucci inizia a disegnare dalla natura morta, dal paesaggio, dai fiori e dagli animali, raccogliendo i suoi soggetti nel Padule, quel padule che oggi in buona parte è perduto e che lo porterà a conoscere il suo caro amico, che lo introdurrà per primo nel modo intellettuale del dopoguerra: il direttore dell’istituto di farmacologia di Firenze Alberto Giotti, bientinese di origine come lui. Giotti sarà una conoscenza fondamentale: non solo lo presenterà nei luoghi dell’arte contemporanea, ma lo aiuterà anche a ottenere le prime committenze che gli permettono di diventare un pittore di professione.
Lambertucci riprende a dipingere con assiduità tra la fine degli anni ’60 e l’inizio del decennio successivo, in un momento in cui il mondo intellettuale italiano cerca nuove strade espressive. Da quegli anni Lambertucci inizia un percorso di indagine che lo porterà verso una trascendenza artistica. La sua cultura figurativa da un lato lo tiene ancorato alla figura, ma non gli impedisce di avviare la rappresentazione di un’interiorità umana che dischiude nuovi mondi. 
In quel periodo Lambertucci gira il mondo dell’arte: a Firenze, a Milano, all’estero nascono le prime mostre. Conosce e diventerà amico di intellettuali e critici d’arte del calibro di Mario Soldati, Piero Bigongiari e le sue mostre saranno attenzionate, in tempi più recenti, da critici come Vittorio Sgarbi e Nicola Miceli, che scriveranno parole lusinghiere su di lui. Cerca di indagare nuove strade arrivando fino ad interessarsi dell’umanità pasoliniana.
Tutti in Lambertucci intravvedono la forza espressiva e concettuale di un artista che, partito dal figurativismo post avanguardia, non si abbandona alla pittura astratta per moda, ma rimane ancorato alla sua identità culturale e fa evolvere la figura verso forme espressive che dall’oggettività esteriore, spostano la sua attenzione verso l’interiorità complessa della società della seconda metà del ‘900 e dei primi decenni del nuovo secolo.
La pittura di Lambertucci via via andrà concentrandosi sempre più sui cavalli, protagonisti dei suoi quadri, come lui stesso racconta: «I miei cavalli sono in movimento, non sono fermi, corrono, scalciano e saltano e sono metafora della mia interiorità, del mio sentire interiore di fronte alla realtà».
 E forse non è del tutto causale la scelta del cavallo come metafora della sensibilità dell’artista: la pittura toscana dal ‘300 in poi ha una lunga tradizione di «indagatori» del cavallo a cominciare da Pisanello e per continuare con Paolo Uccello e Donatello.
 Lambertucci è un pittore che forse non avrà allievi, ma nella sua vita ha intrapreso una strada unica e originale. Come dice lui stesso: «Molti pittori del passato e del mio tempo mi hanno affascinato, incuriosito, li ho indagati e studiati, ma ho cercato sempre di elaborare uno stile mio che rappresentasse la mia arte, il mio sentire e il mio vedere la realtà, sempre con umiltà e onestà».
E proprio in questo sta la forza espressiva del Lambertucci pittore: per quanto nella sua pittura si rintraccino elementi del passato della tradizione pittorica toscana e poi italiana, delle avanguardie, come era già accaduto per Viani, non si arrende alla mera ripetizione di topos e cliché. Cerca la sua strada, rivendicando un principio di originalità, che lo porta nella sua lunga carriera ad approcciarsi alla pittura con una forza espressiva nuova, dove l’indagine sul reale viene poi sublimata e distillata dalla sensibilità artistica, che trova espressione proprio nei suoi cavalli, metafora della lettura che l’artista dà al mondo e ai drammi umani e collettivi. Lambertucci crea i suoi quadri in una dimensione pittorica che a tratti sembra sfumare verso la metafisica o verso forme oniriche, ma a ben guardare è una pittura che rimane sempre fortemente ancorata a una visione critica dell’animo umano, ne è facile e leggibile esempio la Crocifissione realizzata nella Chiesa di Capanne a Montopoli Val d’Arno, dove di fronte alla sofferenza del Cristo crocifisso, i cavalli inorridiscono e si scatenano diventando loro stessi incarnazione e indagine dello “Ecce Homo”». Fonte: Comune di Santa Croce sull’Arno

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