Va avanti fino al 9 novembre (orario di apertura dal martedì alla domenica dalle 10 alle 19) la mostra “Banksy and Friends” ospitata al Palp – Palazzo Pretorio di Pontedera.
In mostra 70 opere che raccontano l’arte come gesto di ribellione, attraverso un itinerario che intreccia linguaggi e visioni controcorrente. Accanto a Banksy e a una costellazione di autori capaci di leggere il mondo con sguardi inediti, trovano spazio anche artisti legati al territorio e alla scena contemporanea italiana. Tra loro spicca Cristina Gardumi, nata a Brescia ma da tempo adottata da Pisa. L’artista che si racconta così:
Nei tuoi lavori spesso emergono figure sospese tra il reale e l’onirico. Il sogno e l’immaginazione influenzano la tua ricerca artistica quotidiana?
Nel mio “fare” artistico la realtà è presente in modo preponderante, anzi è il motore perpetuo che guida il mio percorso. Come creativa considero i miei lavori il frutto del rapporto quotidiano con il reale e con chi lo abita.
Una relazione che può rivelarsi difficile, più o meno complessa a seconda del chi, del quando, del dove. Mi piace sempre pensare al disegno come a una tecnica di indagine della realtà e delle possibilità di metamorfosi e crescita che essa può offrire all’essere umano. L’immaginazione è uno strumento ulteriore, che trova nutrimento nella dimensione del sogno, certo, ma che utilizzo paradossalmente proprio per guidare lo spettatore attraverso una riflessione personale sul mondo reale.

Un percorso a 360 gradi nel vero senso della parola. Quali sono le tappe principali che ti hanno trasformata e portata alla tua espressione artistica attuale?
Ho avuto la grande fortuna di poter coltivare professionalmente il mio interesse per la pittura e il disegno accanto a quello per il teatro, e dopo i corsi di alta formazione in Pittura e Recitazione ho capito quanto interconnesse siano tutte le pratiche artistiche e di quanto ogni mia creazione, in entrambi i mondi, risulti contaminata inevitabilmente da tutto ciò che ho conosciuto, oltre che dal desiderio di sondare nuovi percorsi.
Per diversi anni ho lavorato nel teatro di ricerca, che mi ha confermato quanto il valore della generosità sia fondamentale in qualunque pratica artistica e quanto l’errore (il tanto biasimato errore) in arte non esista. Il suo vero nome è opportunità.

Se non fossi diventata un’artista visiva quale altra strada creativa e professionale avresti potuto intraprendere?
Come ho detto più sopra amo sperimentare nuove strade e linguaggi artistici. Anche la scrittura e il video sono territori dove mi piace spaziare. Se potessi reinventarmi vorrei mettermi alla prova con una professione difficilissima, che però attraverso la difficoltà mi potrebbe far crescere molto.
Tenterei un’esperienza nella regia, un mestiere che richiede tante competenze artistiche e sociali differenti, la capacità di gestire diverse figure professionali e farle collaborare in modo armonico per raggiungere un risultato comune. Un lavoro fondamentale.
A teatro e al cinema mi è capitato di lavorare con diversi registi, e tra loro i migliori, per me, sono sempre stati quelli che si mostrano più accoglienti e umani, empatici, quelli che superano l’ansia e la pressione col sorriso, e così facendo riescono a far stare bene chi li circonda. E stare bene significa lavorare bene. Ecco, forse vorrei diventare “una regista che sorride”.