In Aoup nelle scorse settimane è stato trapiantato con successo per la prima volta il fegato a un paziente 46enne con tumore epatico affetto anche da ipertermia maligna, una condizione rara ma potenzialmente letale, che si verifica come reazione ai farmaci indispensabili per l’anestesia.
L’ipertemia maligna è una rara malattia ereditaria, la cui incidenza è calcolata fra 1:4.500 e 1:60.000 casi di anestesia generale, dovuta alla mutazione di un gene mappato sul cromosoma 19 che ha come conseguenza, nei soggetti portatori e che vengono sottoposti ad anestesia generale, una serie di reazioni avverse e disfunzioni d’organo potenzialmente letali.

Si manifesta con un rapido aumento della temperatura corporea (oltre i 40°C), rigidità muscolare e gravi disfunzioni di tutti gli organi ma la diagnosi è sempre basata sull’osservazione dei sintomi durante l’anestesia, trattandosi di un’anomalia non rilevabile dai comuni esami del sangue normalmente eseguito prima di un intervento chirurgico ma solo tramite test genetici specifici non di routine.Fino ad oggi sono stati descritti in letteratura solo 2 casi della malattia (uno dei quali letale) presentatasi durante il trapianto e quindi con diagnosi precedentemente non nota.
La particolarità del caso pisano è che al paziente era già stata diagnosticata la mutazione genica tramite un test genetico, a seguito della manifestazione dei gravi segni della malattia durante un intervento chirurgico precedente al trapianto, da cui il ricovero in terapia intensiva per vari giorni. Al fine di non precludere al paziente l’unica possibilità di guarigione rappresentata dal trapianto, l’equipe dell’Unità operativa di Anestesia e rianimazione trapianti dell’Aoup ha messo a punto un protocollo di gestione peri-operatoria, condiviso anche con esperti nazionali, per poter controllare il ripetersi dell’evento potenzialmente letale già vissuto in precedenza dal paziente.
Il protocollo elaborato dall’equipe pisana ha consentito di procedere secondo precisi passaggi già programmati e soprattutto tempestivi – visto che il fattore tempo in questi casi è dirimente per la prognosi – rendendo possibile il trapianto, eseguito dall’èquipe multidisciplinare composta dagli anestesisti e dai chirurghi dell’Unità operativa di Chirurgia epatica e del trapianto di fegato, oltreché da infermieri e tecnici, senza che la malattia si manifestasse.
Si tratta, per quanto noto, della prima volta al mondo di un trapianto di fegato “programmato” in un paziente in cui questa malattia molto rischiosa fosse stata già diagnosticata prima dell’intervento. L’aver messo a punto con successo un protocollo di gestione specifico per questa categoria di pazienti apre di fatto la strada alla possibilità di non escludere casi analoghi dal trapianto, facendo la differenza fra il poter offrire una terapia salvavita o il doverci rinunciare (edm).
