Arriva la rubrica ‘Pianeta Dolore’, che tratta il tema del dolore cronico. Di seguito la prima intervista.
Il dolore cronico è uno dei principali problemi di salute a livello globale ed è la prima causa di richiesta di cure mediche. Parliamo di un tipo di dolore ben diverso da quello che può derivare da un trauma e deve essere ritenuto una vera e propria malattia, troppo spesso sotto-stimata e non trattata in maniera adeguata.
Il dolore cronico è un dolore invalidante, che altera le capacità fisiche e psicologiche di chi ne soffre, con ripercussioni in ambito familiare e nelle relazioni sociali. Un dolore che non conosce riposo, con il quale, purtroppo, occorre trovare strategie di sopravvivenza, spesso difficili e che mettono a dura prova le persone che devono conviverci a causa di patologie o malattie degenerative
Il dottor Paolo Poli, fino al 2015 Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Terapia del Dolore dell’Ospedale di Pisa, è un medico chirurgo, specialista in Anestesia e Rianimazione e Terapia del Dolore. Ha dedicato tutta la sua professione e buona parte della sua vita, a studiare il dolore e trovare strategie sempre nuove per aiutare a combatterlo chi ne ha necessità, al punto che nel 2015 ha fondato la SIRCA (Società Italiana Ricerca Cannabis) di cui è Presidente.
Di seguito l’intervista al dottor Paolo Poli.
- Dottore, perché ha scelto di occuparsi proprio di dolore cronico?
“E’ una scelta che ho fatto alla fine degli anni Ottanta. In tutta Italia eravamo solo una ventina di Medici ad occuparci di dolore cronico. Nessuno si occupava di queste cose e così decisi di farlo io. A quel tempo lavoravo in rianimazione. Di fatto, quando non si sapeva più cosa fare di un paziente perché non era più possibile alcuna cura, veniva inviato in visita in Anestesia e Rianimazione. E così, quando rientravo dalle sale operatorie, mi dedicavo a queste persone che stavano lì, in attesa, sperando in un medico che potesse dare loro informazioni, rassicurazioni. Trattavo quei pazienti con le terapie che avevamo al tempo, di fatto quasi solo con l’utilizzo della morfina. Con la mia esperienza di Anestesista mi resi presto conto che potevo fare qualcosa per loro”.
- Come si può definire il dolore cronico?
“È facile: una malattia. Il dolore cronico è una malattia, non è semplicemente un sintomo. O meglio è un indicatore che ci dice che nell’organismo qualcosa non va. Prima, il dolore si divideva in acuto e cronico e si riteneva che questo passaggio avvenisse dopo un certo tempo: per esempio un dolore acuto si può definire cronico dopo circa tre mesi. Questo non è vero: un dolore cronico si può instaurare nell’organismo anche in una sola giornata. Avvengono infatti delle modificazioni nel cervello che portano a un cambiamento immediato. A questo punto il dolore cronico non è più un sintomo, ma una malattia che colpisce nella psiche e nel fisico. Ecco quindi un concetto nuovo, nato negli anni Novanta: il dolore come malattia. Il dolore, poi, porta ad ansia e depressione, che non fanno altro che aumentare la percezione del dolore stesso innescando un pericoloso circolo vizioso. Dolore-ansia-depressione-aumento del dolore. Il paziente deve essere seguito da più specialisti che, insieme, riescono ad affrontare la malattia-dolore. Questo mostro non lo si può sconfiggere, questo lo sappiamo, ma lo si può attenuare parecchio ed è un grandissimo risultato e l’obiettivo del nostro operato”.
- Quali sono le persone che più frequentemente ne soffrono?
“Rispondo con un dato che vi sorprenderà: il 45-50% di persone in Italia soffre di dolore cronico, che può essere di varia natura, intendiamoci. Può derivare da mal di schiena, cefalea, emicrania, dolori neuropatici, post erpetici, da tutte le patologie del sistema nervoso centrale e naturalmente dalle varie forme di neoplasie”.
- Quanto conta il piano emotivo e psicologico dei pazienti nell’affrontare la malattia-dolore anche in presenza di farmaci antidolorifici efficaci?
“Tantissimo, per poter curare il dolore abbiamo visto che è necessario curare ansia e depressione che ne derivano come malattie a se stanti, questo ci dà la misura di quanto sia fondamentale poter mettere il paziente nella condizione psicologica migliore. Certo non è cosa facile”.
- Il rapporto con un animale, con un cane per esempio o con un gatto, possono interagire sullo stato psicologico di un paziente? In che modo?
“Sicuramente possono dare un grande aiuto, non occorre che spieghi io il beneficio che portano gli animali, basti pensare alla pet-therapy per avere un’idea del prezioso contributo che i nostri amici animali possono donare. Pensiamo a una cosa semplice, che può apparire addirittura banale: la carezza. Accarezzare un cane, un gatto, ci dona una sensazione meravigliosa E’ una cosa magica che porta rilassamento, benessere, che rasserena e conforta. Un grandissimo beneficio”.
- Lei utilizza la cannabis a scopo terapeutico. Ci può spiegare, in breve, in che cosa consistono i trattamenti e perché sono efficaci nella gestione del dolore cronico?
“Una premessa doverosa: la cannabis non è un buon analgesico, o meglio, esistono analgesici molto più potenti ed efficaci che però hanno effetti collaterali spesso devastanti. Al contrario, la cannabis è un farmaco, anzi un fito-farmaco, per essere precisi, che può controllare il dolore senza effetti collaterali, senza problemi di aumento di dosaggio né di assuefazione, quindi per noi è un fito-farmaco ‘sicuro'”.
- Anche gli animali, purtroppo soffrono di dolore cronico. Sono applicabili anche per loro cure simili; è praticabile, per esempio, l’utilizzo della cannabis?
“Si può utilizzare, ma il THC in Veterinaria va gestito con molta cautela, mentre il CBD può essere somministrato. Mi spiego meglio. La cannabis ha due principi attivi fondamenti: THC (ovvero tetraidrocannabinolo) e CBD (cannabidiolo), oltre a tantissime altre sostanze fra cui i terpeni e i flabonoidi e altre 150-200 sostanze che, di fatto, si conoscono poco o nulla. Ricordo, rapidamente che le Cannabis non sono tutte uguali: esistono un paio di Cannabis mediche che contengono poco THC e molto CBD, usato appunto anche in veterinaria. Abbiamo pazienti che non rispondono allo stesso tipo di cannabis: al di là delle percentuali di THC e CBD, che hanno un’importanza rilevante, in realtà stiamo vedendo che anche tutte le altre sostanze sono fondamentali e modificano l’azione della pianta. Lo stesso sarà per gli animali, anche se i dosaggi cambiano molto dal dosaggio umano. Ciò detto, per dare una vaga idea della vastità e complessità di questo tema, in veterinaria viene usata la pet-cannabis. Negli Stati Uniti, per esempio, viene adoperata per tantissime patologie, non solo nel dolore. In Italia, alcuni Medici Veterinari hanno iniziato ad utilizzarla. Risulta molto efficace nelle epilessie, ma anche nella cura di depressione, ansia e perfino aggressività. Ho notizia che vengono trattati con il CBD (ovvero con un tipo di cannabis con percentuale alta di CBD) anche i cavalli e i risultati sono incoraggianti. Altra cosa da ricordare: la cannabis deve essere trattata, e quindi va somministrata nel giusto dosaggio, per bocca, in olio”.
S.A