La testimonianza di un dirigente medico dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa.
La violenza sugli operatori sanitari non si ferma. Mercoledì 21 agosto l’ultima in ordine di tempo avvenuta a Pisa ai danni di un dirigente medico dell’Azienda Ospedaliero Universitaria. Di seguito la sua testimonianza, resa pubblica dall’Anaao Assomed.
“Ieri sono stato nuovamente vittima di una aggressione sul posto di lavoro. È la seconda volta in pochi mesi. Ieri l’aggressione è stata fisica e sia io che una Ausiliaria siamo dovuti ricorrere al Pronto Soccorso. Solamente (si fa per dire) e per fortuna dei graffi. Le conseguenze peggiori sono quelle che ti restano dentro.
Dopo la prima aggressione, alcuni mesi fa, ho seguito tutta la trafila prevista: denuncia, segnalazione aziendale, audit, controaudit, etc.
Nel corso dell’audit abbiamo formulato diverse proposte e richieste. Ma NIENTE è stato fatto nonostante molte delle soluzioni che abbiamo proposto erano a costo zero e potevano essere messe a terra in poco tempo.
Come dipendente percepisco un totale disinteresse dell’Azienda verso la sicurezza mia e degli altri lavoratori. Mi sembra che, dopo i roboanti proclami con tanto di foto e articoli sui giornali di accordi con la Prefettura, niente sia cambiato. Abbiamo pianto, più di un anno fa, la scomparsa della Collega Barbara Capovani. Ricordo quella fiaccolata che avete organizzato e a cui ho portato anche mio figlio. Ricordo il lutto al braccio, le lacrime, il silenzio. Noi abbiamo imparato la lezione, chi ci amministra, no.
Ieri mi ha colpito l’affermazione di un Collega che mi ha detto: “Non farai mica la trafila aziendale vero? Tanto non serve a niente”. È la cultura del silenzio di chi sa che non avrà risposte. Di chi sa che il Sistema se ne frega di chi lavora in trincea.
Ho spiegato a più riprese che non credo che quello delle aggressioni sia un fenomeno contro i sanitari. Credo purtroppo che sia un fenomeno sociale. Oggi, purtroppo, molte persone preferiscono il linguaggio delle mani, della violenza, della prepotenza, come unico metodo di interazione. Dobbiamo allora ripensare il nostro lavoro se vogliamo evitare tutto questo.
Ieri sono stato aggredito da una persona che non avevo mai visto. Mi sono beccato solo un graffio. Domani potrei beccarmi una coltellata. Lo metto in conto. Non denuncerò più.
Sono stanco di affrontare tutte queste cose da solo. E’ una perdita di tempo e forze che preferisco dedicare alla mia famiglia. L’Azienda per cui lavoro, che è responsabile della mia sicurezza, ha fallito per l’ennesima volta.
Preferisco evitare il terzo audit dove mi si dice che le porte restano aperte perché i dipendenti vanno a fumare fuori e le lasciano aperte, dove mi si dice che la vigilanza non può fare niente, dove mi si dice che non si può fare niente.
Andrò avanti finché mi andrà o finché qualcuno mi metterà fuori gioco a bastonate o sparandomi o accoltellandomi.
Da oggi verrò al lavoro mettendo al primo posto la mia sicurezza e non l’empatia, la disponibilità verso sconosciuti anche oltre misura, l’umanità. Farò freddi calcoli di cosa può anche lontanamente essere pericoloso e me ne terrò lontano. Questo perché devo portare a casa la pelle integra per altri 28 anni. Ho dei figli e prima devo pensare a loro.
Mi scuso per lo sfogo ma solo questo resta. Adesso mi rimetto il mio camice e vado a lavorare“.