Non si tratta soltanto di una promozione sportiva: è il ritorno di un amore che non si è mai spento.
Dopo ben 34 anni, il Pisa ritrova la Serie A. Un’attesa infinita, che per tanti è stata solo un lontano ricordo, per altri un racconto tramandato come leggenda, per i più giovani un sogno mai vissuto. Ma oggi quel sogno si realizza. Non si tratta soltanto di una promozione sportiva: è il ritorno di un amore che non si è mai spento, l’esplosione di un’emozione rimasta silenziosa ma viva sotto la superficie per più di tre decenni.
Chi ricorda l’annata 1990/91, l’ultima volta che i nerazzurri calcarono i campi della Serie A, fatica a trattenere le lacrime. All’Arena Garibaldi si respirava ancora l’entusiasmo degli anni d’oro, quelli guidati da Romeo Anconetani, l’iconico presidente che portò il Pisa a vivere sfide memorabili contro le grandi del calcio italiano. Quelle stagioni sono rimaste impresse come un ricordo vivido e irripetibile.
Ma quel sogno si interruppe bruscamente. Nel 1994 arrivò il primo fallimento, causato da una gestione finanziaria disastrosa. Fu l’inizio di un lungo periodo buio: il club venne escluso dal calcio professionistico e i tifosi si ritrovarono a fare i conti con il dolore di vedere la propria squadra sparire sotto il peso dei debiti. Chi c’era, ricorda bene la frustrazione e la tristezza di quei giorni.
Purtroppo, la storia si ripeté. Nel 2009, un nuovo tracollo economico costrinse il Pisa a ricominciare dai campi dilettantistici. Una discesa dura, che portò la squadra a giocare in stadi lontani anni luce dal prestigio della Serie A. Ma proprio in quei momenti, in quelle trasferte nei piccoli centri come Peccioli e Terricciola, la passione dei tifosi si mostrò in tutta la sua grandezza: sempre presenti, sempre fedeli.
Un episodio simbolico di quegli anni difficili fu nella stagione 2014/2015, quando il club perse la possibilità di tornare in Serie B per via della mancanza di illuminazione allo stadio. Una beffa amara, emblematica delle battaglie contro problemi strutturali e gestionali che si sommavano a quelle sportive.
Eppure oggi, dopo tanto dolore e attese, la gioia esplode. I padri abbracciano i figli, ricordando chi non c’è più ma ha vissuto per questi colori. È una promozione che ha il sapore del riscatto, un’emozione collettiva che attraversa generazioni. È anche per chi non ha potuto assistere a questo ritorno, ma vive ancora nel cuore dei familiari, come Franca, ricordata con amore dai nipoti Andrea e Lorenzo, e da suo figlio Alessandro, legati indissolubilmente alla Curva Nord.
O come Renato, che ha trasmesso al figlio Cristiano e al nipote Manuel un amore eterno per il Pisa. Ogni domenica era un rito, una liturgia fatta di cori, di speranze e di tifo instancabile. In queste storie si riconosce l’anima vera della tifoseria pisana, capace di resistere a ogni tempesta con lo sguardo sempre rivolto al futuro.
Perché per un vero pisano, il Pisa non è solo una squadra. È una parte di sé, un legame che resiste al tempo, che non conosce abbandono. È la voce commossa di un padre che chiama il figlio lontano per dirgli solo: “Ce l’abbiamo fatta”. È un sentimento che va oltre la categoria in cui si gioca, oltre ogni delusione.
In questi 34 anni ci sono stati fallimenti, campi sconosciuti, trasferte impossibili. Eppure i veri tifosi non hanno mai smesso di crederci. Hanno sofferto, ma non hanno mai lasciato la mano di quel sogno.
Perché il Pisa, se lo ami davvero, non lo tifi: lo vivi. È ciò che ti dà forza quando tutto il resto vacilla. È la rivincita di chi ha sempre sperato, e di chi adesso canta con la città anche da lassù. La Torre di Pisa potrà pendere, ma non cadrà mai. Bentornato Pisa. Bentornati pisani.