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“L’Autonomia differenziata è divisiva?”

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Le dichiarazioni del segretario Uil scuola Pisa e Livorno Dott. Claudio Vannucci.

“La riforma dell’autonomia differenziata voluta dall’attuale maggioranza può cambiare, se non stravolgere l’attuale assetto del sistema di istruzione nazionale. La tematica è complessa ed è necessario approfondirla. Per comprendere meglio l’impatto rispetto allo status quo, facciamo un breve (e necessariamente semplificato) excursus per risalire alle origini storiche del sistema e del rapporto tra centralizzazione e autonomie locali. Alla fine dell’ottocento la riforma Casati voleva realizzare un programma di alfabetizzazione per tutto il popolo italiano riunificato, soprattutto nelle zone rurali ed in quelle più degradate, ma già da allora dietro la massiccia presenza dello Stato si celava la richiesta per l’autonomia della scuola cattolica. – dichiara il segretario Uil scuola Pisa e Livorno Dott. Claudio Vannucci – Durante il fascismo si ebbe il consolidamento della scuola statale anche se non fu abbandonata l’idea di una presenza dell’istruzione di ispirazione religiosa. La Costituzione democratica ha sancito il ruolo della Repubblica nell’emanazione di norme generali sull’istruzione e nell’istituzione di scuole, così come possono farlo enti e privati, senza oneri per lo Stato. Nella gestione del sistema scolastico Stato e Repubblica sono stati identificati sotto l’egida dell’amministrazione che conserva tuttora un grande potere soprattutto per quanto riguarda le risorse finanziarie e di personale, lasciando poco spazio agli altri soggetti”.

“Per tanti anni dal dopoguerra le riforme che hanno cercato di estendere e di migliorare il servizio scolastico sono state applicate in un’ottica statalistica dalla burocrazia ministeriale, che ha dominato a fronte di una politica debole, trascurando spesso le esigenze del territorio. La giustificazione era la salvaguardia del titolo di studio a livello nazionale che garantiva il ruolo della scuola come struttura di unificazione del Paese e di promozione delle persone e dei cittadini. Verso gli anni settanta del secolo scorso la sinistra ha cercato di porre la scuola in relazione diretta con gli enti locali, come avveniva nel nord Europa, abbinandone la gestione con alcuni interventi come ad esempio il tempo pieno. L’istituzione delle regioni a statuto ordinario vide il passaggio di competenze per quanto riguardava il diritto allo studio e la formazione professionale. – continua Vannucci –  Inizia così un processo di decentramento verso le autonomie locali che però non verrà mai completato per quanto riguarda gli aspetti strategici del sistema. La diatriba politica non consentì alla sinistra di portare a termine l’impresa ed anche sulla spinta delle contestazioni avviate nel sessantotto si arrivò alla introduzione della partecipazione sociale nella scuola che ne allargò la gestione alle componenti dei genitori, degli studenti e delle forze economiche nei vari ambiti territoriali. Sembrava un passaggio epocale, ben presto però ci si accorse che le componenti esterne avevano solo potere di proposta, ma che la decisione continuava ad essere prerogativa dello Stato attraverso i suoi funzionari periferici e che anche la libertà di dirigenti e docenti era limitata agli aspetti didattici”.

“Dagli anni novanta la parola autonomia entrò nel linguaggio amministrativo in diverse direzioni: nella riforma degli enti locali per aumentarne il ruolo di rappresentanza dei cittadini, nella pubblica amministrazione per favorire il decentramento delle competenze statali ed anche nella scuola con il conferimento della personalità giuridica agli istituti scolastici. – spiega Vannucci – Ma la rottura sul piano politico arrivò con le proposte della Lega Nord circa una visione secessionistica dell’autonomia, che assieme alla legge sul federalismo fiscale voleva attribuire più potere alle Regioni sottraendolo allo Stato, anche per quanto riguardava la materia scolastica. Un primo referendum bocciò una visione così radicale, mentre un lavoro all’interno del centro sinistra portò alla riforma del titolo quinto della Costituzione con tanto di referendum confermativo. Tale riforma però non fu applicata in tanti settori compreso quello dell’istruzione e nonostante alcune affermazioni di principio che lasciavano presagire, assieme al decentramento amministrativo, il passaggio di competenze agli enti territoriali ed alle scuole, con l’opposizione dei ministeri si sviluppò un grande contenzioso presso la Corte Costituzionale. Fu però lasciato aperto uno spiraglio, l’art. 116 della nuova Costituzione consentiva alle Regioni che lo avessero richiesto un’autonomia differenziata su un certo numero di materie. Per noi della UIL l’autonomia differenziata è un processo che non porta ad effettivi benefici nel breve e soprattutto nel medo e lungo termine, a tutti i cittadini compresi quelli delle cosiddette ‘Regioni ricche’. A nostro avviso vanno invece respinte le differenziazioni perché si rischia di creare le diseguaglianze quale elemento propulsivo e di competitività per questo o quel territorio. E’ una riforma, la più ‘delicata’ degli ultimi anni, insieme a quella sul premierato, per gli assetti istituzionali emette a serio rischio il godimento dei diritti civili e sociali. Dobbiamo invece creare un Paese più unito, più eguale, più giusto, più coeso”.

“Per questo vanno introdotti, erga omnes i costi e i fabbisogni standard, finalizzati a finanziare i Livelli Essenziali delle Prestazioni, per assicurare i diritti di cittadinanza in tutte le aree del Paese. Con l’autonomia differenziata non solo non si pone riparo alle disfunzioni delle Regioni, ma al contrario si accentuano le inefficienze complessive del sistema fino ad arrivare vicino alla disgregazione del nostro già fragile Stato nazionale. Dobbiamo, poi rifuggire dalla logica del neocentralismo regionale, perché forte è il rischio di creare sistemi regionali non coordinati. L’autonomia differenziata rischia di mettere in discussione definitivamente il carattere pubblico e nazionale dell’istruzione e di conseguenza mina, alla radice, le basi dei diritti di cittadinanza. Per noi ci sono diritti fondamentali delle persone che non possono e non devono essere oggetto di autonomia differenziata: ci riferiamo al diritto all’istruzione, al diritto alla salute e sicurezza, al diritto al lavoro. Sono diritti centrali al pari di quelli civili del voto, della libertà, della partecipazione, del rispetto della dignità. La sfida è quella di coniugare efficienza, qualità, partecipazione. Inoltre venti anni, il Parlamento non si è mai preoccupato di approvare una legge per l’attuazione dell’articolo116, comma terzo. – conclude Vannucci – Ora, l’attesa sembra essere terminata e anzi, si correa ‘perdifiato’. Noi crediamo che un percorso così delicato non possa essere fatto con la fretta perché, come dice un proverbio,’la gatta frettolosa fa i gattini ciechi'”. Fonte: Comunicato stampa segretario Uil scuola Pisa e Livorno Dott. Claudio Vannucci

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