L’associazione del cigno verde ha espresso il disappunto sulla situazione attuale, spiegando come si dovrebbe tutelare il territorio e chi sono i responsabili dei disastri.
Riceviamo e ripubblichiamo la posizione di Legambiente Valdera riguardo gli eventi climatici estremi.
“Di fronte a eventi meteorologici estremi – terribile quanto apprendiamo in queste ore dalla Spagna – come quelli che penalizzano tanto le aree pianeggianti in riva ai fiumi della Toscana (e più in generale di tutto il nostro Paese e molte aree del pianeta), quanto le aree collinari sottoposte a frane e smottamenti, tutti si sentono in grado di dire la loro, attribuendo colpe e responsabilità a destra e a manca.
Poi, siccome tutti si sentono tecnici qualificati ed esperti, si suggeriscono pure ricette facili pronto uso per risolvere tutti i problemi (un po’ come al bar, quando tutti diventano commissari tecnici della Nazionale di calcio!). E così, in questo clima di forte rigurgito anti-ambientalista (fomentato anche dai partiti e dall’attuale governo della destra), tutte le colpe dei disastri ambientali hanno all’improvviso un indirizzo preciso: le politiche ecologiche portate avanti finora dall’Europa riguardo alla tutela del territorio, della biodiversità e degli ambienti naturali; in una parola la negazione del cosiddetto Green Deal (che poi ci sarebbe da capire quanto questo Green Deal ci sia davvero).
Ecco allora che i “veri responsabili” dei disastri idrogeologici e alluvionali, diventano, di volta in volta:
– gli ambientalisti e l’Europa che si oppongono a che i fiumi diventino canali cementati a scorrimento veloce (e magari tombati);
– le nutrie ed i gamberi che, con le loro tane, sono i veri responsabili dell’indebolimento degli argini;
– la mancata pulizia “a raso” e il dragaggio degli alvei fluviali che, secondo quest’ottica, dovrebbero diventare come “pallai” per far scorrere velocemente le masse d’acqua (magari col mare che, a causa del vento contrario, poi non riceve, aggravando il pericolo di inondazione); – e ancora gli ambientalisti che, con le loro aree protette e la fissa della tutela della natura e della biodiversità, “ingessano” il territorio, opponendosi persino a creare delle belle e costose opere di contenimento in cemento, che magari servono a poco o niente ai fini della protezione (se l’acqua è tanta, si ferma da una parte, ma esce dalle altre….), ma fanno tanto “politica del fare e dell’intervenire”.
Diciamo che è drammaticamente vero che sono in atto cambiamenti dei regimi pluviometrici, con rovesci d’acqua sempre più concentrati in episodi intensi; e quando su una porzione piccola di territorio precipitano in poche ore le centinaia di millimetri di pioggia che normalmente cadrebbero in un anno intero, non ci sono prevenzioni sicure ed efficaci. Per questo siamo assolutamente d’accordo che i Sindaci non vadano lasciati soli e che sono abbastanza impotenti, con le loro scarse risorse, a tamponare i sempre più frequenti disastri idrogeologici del territorio.
Ma bisogna avere anche il coraggio di dire, una volta per tutte, che in questa nuova condizione di eventi estremi, l’attuale assetto del territorio – così cementificato e impermeabilizzato, con il reticolo idrografico minore nella totale incuria (se non addirittura del tutto cancellato dalle massicce
lottizzazioni e dalle colture intensive), con i fiumi che in natura dovrebbero avere alveo indefinito e variabile o ora sono costretti in argini talora stretti, cementificati o addirittura con alveo “tombato” – ecco, un assetto del territorio così, non funziona più.
Non lo diciamo solo noi, ma lo dicono anche i climatologi del CNR, i Consorzi di Bonifica e la stessa Comunità Europea. Tra l’altro, il 17 giugno di quest’anno, il Consiglio Europeo ha approvato il Regolamento sul ripristino della Natura che, proprio per mitigare i cambiamenti climatici e gli effetti delle catastrofi naturali, richiede di ripristinare entro il 2030 almeno il 20% delle aree terrestri e marine (compresa anche la eventuale rimozione di suolo impermeabilizzato e cementificato in aree a rischio), in quanto gli studi scientifici hanno ormai inequivocabilmente dimostrato che “la presenza di un maggior numero di ecosistemi ricchi di biodiversità determina una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici e offre modalità più efficaci di riduzione e prevenzione delle catastrofi”.
Bisogna perciò tornare a dire con chiarezza – come si ipotizzava negli anni ‘80 del secolo scorso (poi largamente disatteso) – che occorre dare vie di fuga all’acqua, creando zone o casse di espansione funzionanti ed efficaci, rinunciando per questo a cementificare una parte del suolo, mantenendolo permeabile ed esondabile, e garantendo che, in caso di piena, ci siano delle valvole di sfogo, come da sempre avviene in Natura.
Talvolta, anche quando le casse di esondazione ci sono, risultano inutili perché localizzate a quote più alte dei terreni circostanti e perciò l’acqua dentro non ci va. La cassa di espansione presso la Località La Sterza (costata oltre 4 milioni di euro di denaro pubblico!) ne è un chiaro esempio. In questi giorni di piena del Fiume Era abbiamo visto i campi intorno alla cassa completamente allagati, mentre l’interno era clamorosamente vuoto: in pratica l’ingresso dell’acqua nella cassa è più alto del livello di piena e quindi l’acqua si sparge e inonda i terreni esterni, anziché entrare dentro la cassa di esondazione.
Legambiente Valdera ha segnalato fin dal 2014 all’Autorità di Bacino e alla Regione Toscana la anomalia di questa situazione, ma, a distanza di 10 anni, lo stato delle cose è ancora lo stesso e la pericolosità idraulica per le zone circostanti questa struttura, che dovrebbe servire ad accogliere le acque in eccesso, permane tristemente inalterata. E pensare che, date le dimensioni, sarebbe in grado di liberare per una mezz’ora un flusso d’acqua di 400 m3/sec, alleggerendo la eventuale piena dell’Era a valle, verso Capannoli, Ponsacco e Pontedera!
Stesso discorso per le aree in pendio soggette a franosità: riprendiamo a mantenere gli assetti idraulici antichi del girapoggio, con le scoline e i muretti dei terrazzamenti per rallentare i flussi delle acque, evitando di continuare a disboscare, sbancare ed edificare laddove le condizioni geomorfologiche sono precarie per la stabilità delle colline.
Ma, soprattutto, smettiamo, una volta per tutte, di continuare a nasconderci dietro alle scuse del momento, come l’albero che ostruisce il flusso o la buca della tana nell’argine: la pericolosità idrogeologica è sì amplificata dal clima che varia, ma si rafforza tanto anche per la nostra disattenzione alla tutela del suolo a al mantenimento del territorio in equilibrio con la Natura”.