Nella sua prefazione al 25 aprile, il sindaco di Pisa Michele Conti ha ricordato il valore della Liberazione come momento fondativo per l’Italia democratica, sottolineando l’importanza di celebrare ogni anno questa ricorrenza con gesti simbolici, come la deposizione delle corone, che rappresentano un dovere civico e istituzionale di memoria verso chi ha sacrificato la vita per la libertà.
Riportiamo in forma completa il ‘discorso’ pronunciato dal primo cittadino di Pisa Michele Conti: “Celebriamo oggi gli Ottanta anni da quel 25 aprile 1945 che segnò per tutti la fine
della guerra, la liberazione dal nazifascismo e l’inizio di una storia nuova per il
nostro Paese.
Lo facciamo come Pisa ha sempre fatto in tutti questi anni. Compiendo il rito della deposizione delle corone di alloro qui davanti alla lapide del Comune e di fronte ai monumenti che ricordano i caduti di quella dura guerra.
Gesti simbolici che non sono un vuoto esercizio di retorica ma un preciso dovere che hanno le istituzioni di ricordare non solo le date, le persone, ma perfino i luoghi.
Il valore dei nostri gesti e di chi insieme a noi partecipa a questi momenti è quello di ricordare a noi stessi e alle giovani generazioni quello che è stato perché non accada mai più.
Significa far riemergere dall’oblìo della memoria gli orrori della guerra che soffrirono le nostre famiglie, i nostri nonni e genitori; la fine della dittatura e dell’occupazione nazista. Ma significa anche festeggiare insieme la ritrovata libertà.
Il 25 aprile è ormai parte integrante ed essenziale di quel calendario civile che, parallelo a quello religioso, scandisce date celebrative di passaggi cruciali della nostra vita democratica e della storia repubblicana.
Da quel giorno gli italiani avrebbero dato vita a un nuovo inizio. Sarebbe nata la Repubblica Italiana. Ne sarebbe discesa la ricostruzione del Paese; la difficile pacificazione ma anche la volontà di tutti gli italiani di guardare avanti, a un futuro di pace, di democrazia e di libertà.
Quel giorno di 80 anni fa, infatti, contiene in sé i semi di quello che saremmo stati in futuro. Una delle Nazioni più ricche e sviluppate del mondo, uno Stato democratico che avrebbe garantito a tutti, in primo luogo i diritti inviolabili dell’uomo, riconosciuti e tutelati nella Costituzione. Penso a quelli che riguardano le libertà personali, la libertà di associazione, di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa, solo per citarne alcuni che erano stati vietati negli anni precedenti della dittatura.
Grazie a quel seme di libertà, gli italiani poterono godere di decenni di crescita e di benessere, sviluppare la propria arte e creatività per o sviluppo e il progresso del Paese, furono protagonisti nella fondazione della Comunità Europea oggi Unione per evitare nuove guerre nel continente. Ecco perché il 25 aprile fa parte della nostra storia collettiva, familiare, individuale.
Ma il 25 aprile è anche una data simbolica per la nostra storia cittadina. I lunghi mesi di guerra infatti avevano portato a Pisa morte e distruzioni. Tante famiglie erano state costrette a lasciare la propria casa, sfollate fuori città o in condizioni precarie, senza sicurezze, con poco da mangiare e molto da ricostruire.
Un recente articolo ha ricordato come erano state oltre 60mila le abitazioni distrutte dai bombardamenti e come alle coabitazioni, spesso difficili, tra famiglie, si erano sommati i due campi di baracche, al Villaggio Veneto in area Don Bosco e al campo sportivo dell’Abetone. In città per molto tempo era mancata l’acqua, la luce, il gas. I ponti saltati avevano diviso Tramontana e Mezzogiorno.
La mostra organizzata a Palazzo Blu “Dalla guerra alla Liberazione”, visibile ancora per qualche giorno, fa capire con le immagini d’epoca quale fosse la situazione in città in quei terribili mesi, dal 31 agosto 1943, giorno del primo bombardamento alleato, all’arrivo degli americani il 2 settembre dell’anno successivo che segnò la fine della guerra per la nostra città.
La città, poi, piano piano, tornò alla normalità. I pisani si rimboccarono le maniche e cominciarono a togliere le macerie, a ricostruire. Al teatro Verdi il celebre baritono di origini pisane Titta Ruffo il 15 aprile di quell’anno tornò a cantare.,dopo anni di prolungato silenzio.
In quel clima di ricostruzione e di speranza per il futuro, i pisani seppero guardare avanti, superare i lutti della Guerra, scegliere di stare dalla parte della democrazia e delle libertà.
E anche chi aveva combattuto, tornò alle proprie attività. Come Piero Elert a cui è dedicata la celebrazione di quest’anno. Nato a Cogne, nel 1927, in Val d’Aosta era stato al fianco di Sandro Pertini, poi aveva ripreso i suoi studi fino a laurearsi a Ginevra in geologia e, infine, era venuto nella nostra città a insegnare all’Università e qui rimase molti anni.
Faceva parte di quella generazione di giovani che, nonostante fosse cresciuta negli anni di dittatura, imparò a praticare convintamente i principi della democrazia, della convivenza civile, e seppe metterlo in pratica nell’agire quotidiano e insegnarlo alle generazioni future.
Oggi, nel mondo le dittature non sono scomparse. Così come le guerre. Ma proprio il ricordo di quella generazione di italiani, nati e cresciuti nella dittatura, che seppero ribellarsi e combattere per la libertà, deve essere l’esempio e la speranza di cui dobbiamo nutrirci nonostante che molte conquiste sembrino affievolirsi e le stesse libertà ricacciate in un tempo che pensavamo non sarebbe mai più tornato.
Oggi, molti popoli aspettano ancora il loro 25 Aprile. Le armi continuano a parlare e provocare morti e la corsa al riarmo può essere solo foriera di sventure e di nuova linfa per quella “Guerra mondiale a pezzi” di cui aveva parlato papa Francesco.
Permettetemi in questa occasione istituzionale e di fronte alla città di rendere omaggio a Jorge Mario Bergoglio. Domani a Roma si svolgeranno i funerali. Anche da Pisa vogliamo ricordarne la figura di Pontefice che fino all’ultimo ha compiuto il suo dovere, con fede e coraggio straordinari, che rimarranno come fonte di ispirazione per tutti noi. Francesco ci ha donato il grande esempio di un Papa che con semplicità si è dedicato agli ultimi e ai fragili, impegnato per la pace e per la fratellanza degli uomini, caratteristiche quanto mai necessarie in questi tempi difficili.
Ci ha insegnato che non dobbiamo mai perdere la speranza. E che sta a noi lottare
per affermare i diritti dell’uomo, scritti nella Costituzione, nei documenti delle
grandi istituzioni internazionali ma che necessitano ogni giorno di essere difesi e
applicati. In ogni angolo del pianeta.
Concludo con le parole del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che più volte ha ricordato come il 25 aprile debba essere “La festa della libertà di tutti. Una festa di speranza ancor più per i nostri giovani: battersi per un mondo migliore è possibile e giusto e non è vero che siamo imprigionati in un presente irriformabile. La democrazia è questo: l’opportunità di essere protagonisti, insieme agli altri, del nostro domani”. Grazie e buon 25 aprile a tutti”