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Pisa celebra il 25 aprile

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PISA. Si sono svolte a Palazzo Gambacorti le celebrazioni ufficiali del 76° anniversario della Liberazione.

Dopo la deposizione della corona di alloro presso la lapide dei caduti sotto le Logge di Palazzo Gambacorti, la cerimonia è proseguita in sala delle Baleari con gli interventi del Sindaco di Pisa Michele Conti, del Prefetto di Pisa Giuseppe Castaldo, del Presidente della Provincia di Pisa Massimiliano Angori e del Presidente ANPI Comitato Provinciale di Pisa Bruno Possenti.

Al termine della cerimonia i rappresentanti istituzionali hanno consegnato una pergamena al figlio e ai nipoti di Uliano Martini, ricordando la figura di uno dei protagonisti pisani della lotta di Liberazione.

L’intervento integrale del Sindaco Michele Conti: «Siamo a celebrare di nuovo il 25 Aprile in una condizione di emergenza, dopo un anno difficile, tra i più complicati della nostra storia collettiva e, credo di poter dire, anche personale. Abbiamo dovuto tutti combattere contro un nemico invisibile che si è nascosto tra le persone a noi più care, le ha fatte ammalare e uccise; ha compromesso le nostre vite, messo in ginocchio l’economia, cambiato le nostre abitudini. In molti casi in modo anche irreversibile. Lo scorso anno ci ritrovammo in piazza, in pochi e distanziati, a parlare di “guerra”, di “prima linea” e di “eroi”, riferendoci ai medici e operatori sanitari che da subito si erano trovati a fronteggiare l’emergenza della prima pandemia mondiale dell’era moderna. Colgo di nuovo l’occasione per ringraziare a nome della città il personale dell’ospedale di Cisanello, i medici di base, il personale  paramedico e infermieristico e tutti quanti si sono prodigati per la nostra salute salvando in molti casi vite umane e evitando inutili lutti. Un pensiero di cordoglio, poi, alle famiglie che hanno perso i cari; così come rinnovo il più sincero saluto a quanti ancora stanno lottando per sconfiggere la malattia.

A proposito della similitudine con la “guerra”, in questo anno ci siamo visti limitare quella che sembrava la maggiore conquista dalla fine della dittatura, la libertà. Da marzo 2020 infatti nessuno di noi è stato più libero di muoversi in giro per il mondo così come per le strade della propria città, né di incontrare liberamente amici e persino parenti e congiunti. Abbiamo tutti dovuto sottostare anche alle regole del “coprifuoco”, una parola che, prima del Covid-19, richiamava alla memoria a un tempo di bombe, combattimenti nelle strade. Tutte costrizioni fisiche che sarebbero sembrate impossibili anche solo a immaginarsi, prima di conoscere  da vicino il Coronavirus. In Italia i morti da Covid-19 sono ormai 118mila, di questi quasi 6mila in Toscana e 239 nella nostra città. Un triste conteggio chissà quando destinato ad arrestarsi. La loro età media (sugli 80 anni) rimanda alla mente proprio ai giorni che qui, oggi, stiamo celebrando. Il virus, infatti, si è accanito e si sta accanendo proprio con la prima generazione che conobbe la libertà, fanciulli e adolescenti in quel 1945 che poi sono diventate donne e uomini che hanno saputo ricostruire l’Italia dalle macerie fino a renderla una delle nazioni più ricche del mondo, grazie alla fine della dittatura che aveva condotto il Paese alla guerra e alla Repubblica che garantì a tutti i diritti inviolabili, compresa appunto la Libertà. A quella generazione, oggi maggiormente colpita dal virus, tutti dobbiamo essere grati e riconoscenti. Furono loro a imparare sulla propria pelle il valore di quei principi sui quali si fonda ancora oggi la nostra Democrazia e che solo l’emergenza che stiamo vivendo in parte ci ha tolto. Quella generazione, dicevo, aveva maturato gli anticorpi democratici necessari per la convivenza civile, non solo nell’agire privato e quotidiano ma anche all’interno di ogni forza politica, associazione, nel mondo del lavoro e della rappresentanza.

In ogni settore della vita pubblica, insomma, quei valori furono non solo dichiarati ed esibiti ma praticati nella loro pienezza. Il Paese riuscì così a sollevarsi dalle macerie della Guerra perché scelse la democrazia e la libertà e decise di stare convintamente da una parte del mondo rispetto ai blocchi che all’epoca andarono contrapponendosi, a est e a ovest. Oggi, dopo 76 anni da quei fatti, dobbiamo tornare a interrogarci se la nostra società ha ancora quegli anticorpi democratici e come fare per aggiornarne i contenuti al fine di tornare a crescere e far sviluppare l’Italia non appena questa guerra contro il virus sarà finita. Per il ruolo che ricopro da ormai tre anni, ho spesso riflettuto su molte dinamiche interne alla politica e alla Pubblica amministrazione. E spesso ho avuto la convinzione che molti principi declamati e dichiarati poi fossero solo una formalità rispetto a pratiche di ben altro genere. Libertà, diritti, pari dignità, eguaglianza, ma anche parità di genere e diritto al lavoro e tutela dell’ambiente, sono alcuni dei valori fondanti della nostra democrazia che devono essere perseguiti ogni giorno e tenuti bene a mente nel nostro agire privato ma anche pubblico. Se vogliamo avere al più presto un riscatto dopo questa crisi, la vera arma per ripartire sarà proprio attenerci tutti a un maggiore rispetto e ad una applicazione concreta di principi che, come in passato, possono far crescere una società e farla sviluppare in pace e senza guerre. Chi ancora alimenta divisioni su questo punto lo fa solo come mero esercizio di retorica, privo ormai di qualunque legame con la realtà. Così come chi si professa ambientalista ma in realtà agisce in modo tutt’affatto contrario.

Non siano le contrapposizioni politiche a dividerci ma si trovino al più presto punti di unione per uscire da questa crisi. Si inizi dal mantenere fede agli impegni presi e alle parole date e si esca dalla retorica delle formule per agire in concreto. Del resto, la situazione che stiamo vivendo è talmente di emergenza che da qualche settimana al governo del Paese c’è una maggioranza ampia, forse la più grande di tutta la recente storia repubblicana, che chiede a ognuno di noi, al di là del proprio credo politico, di impegnarsi e sentirsi coinvolto in questa fase di passaggio che se costruita bene potrà senz’altro aiutare la ripresa e lo sviluppo. Alle istituzioni, comprese quelle territoriali e pertanto più importanti a mio parere perché più vicine alle persone, come il Comune, spetta il gravoso compito di combattere questa guerra, rappresentare la Repubblica ogni giorno e non smettere mai di formare quegli anticorpi democratici, gli unici in grado di applicare in concreto i valori della nostra Costituzione Repubblicana».

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