Finalmente, venne la liberazione. Le campane di Santo Pietro suonarono a festa, e l’aria sembrò tornare respirabile.

Aveva solo dieci anni quando la guerra bussò forte alla porta della sua infanzia. Era il tempo della paura, delle corse nel fango, del silenzio forzato nei rifugi scavati a mani nude nel tufo. Il piccolo Mujo – così lo chiamavano affettuosamente gli americani – oggi ha 92 anni, ma quegli anni difficili, vissuti con occhi troppo giovani per capire tutto e troppo grandi per dimenticare, li ricorda con una lucidità che stringe il cuore.
Mujo viveva con la mamma Anita, suo fratello e le sue sorelle, il padre Valentino era deceduto qualche anno prima, alla periferia di Santo Pietro Belvedere. Coltivavano l’orto, allevavano animali da cortile e tiravano avanti come potevano, giorno per giorno, finché anche le loro colline furono attraversate dal fronte. La guerra, che sembrava un’eco lontana, arrivò fino a lì, lasciando dietro di sé il rombo degli aerei e il sibilo delle bombe. Le esplosioni in località Campignoli erano a un passo da casa loro, e ogni volta che l’aria si faceva pesante di motori e paura, scappavano.
In silenzio, uno dietro l’altro, si rifugiavano insieme ad altri paesani in una grotta scavata nel tufo, proprio all’ingresso di quello che oggi è la strada che conduce al campo sportivo. Nessuno parlava. Nessuno piangeva. Solo gli occhi cercavano conforto negli sguardi altrui. “La sola speranza era che non cadessero le bombe dove eravamo nascosti”, racconta Muio con un filo di voce. E quando il frastuono cessava, qualche volta alzavano lo sguardo verso Livorno: all’orizzonte, tra le colline, si vedevano i bagliori delle esplosioni al porto, come fuochi fatali che squarciavano la notte.
C’erano però anche momenti inattesi di dolcezza, quasi irreali in mezzo a tanta brutalità. Mujo, con il coraggio e la curiosità dei bambini, andava fino alle trincee americane, dove i soldati avevano piantato i loro accampamenti. Portava loro cipolle, pomodori – “il tomato”, come imparò a dire – e in cambio riceveva pane bianco, barattoli di marmellata, e il cioccolato, un lusso che ormai nessuno ricordava più. Così diventò la loro mascotte, un piccolo ambasciatore di umanità tra le linee.
Non tutto però fu gioco. Una famiglia sfollata da Roma che si era rifugiata nei pressi della loro casa fu colpita duramente: la madre morì a causa di una scheggia, mentre un’altra donna, ferita a un braccio, riuscì a salvarsi e soprattutto Mujo perse la zia Teresina in un bombardamento sempre nei pressi di Santo Pietro Belvedere in località Giuncheto. Anche il dolore si imparava in silenzio.
Poi, finalmente, venne la liberazione. Le campane di Santo Pietro suonarono a festa, e l’aria sembrò tornare respirabile. La guerra era finita. Il paese ferito cominciò pian piano a risollevarsi, e con esso la vita di Mujo, che da bambino della guerra divenne uomo della memoria.
Oggi, ogni volta che passa davanti a quel campo sportivo, si ferma un attimo. Guarda verso il punto in cui un tempo si scavava per sopravvivere. E in quel silenzio, ancora una volta, rivive tutto. ©Riproduzione Riservata