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Detenuto 25enne si toglie la vita in cella

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E’ accaduto nella serata del 3 gennaio.

Tragedia nel carcere di Sollicciano, dove un giovane detenuto di 25 anni, originario dell’Egitto, si è tolto la vita nella serata del 3 gennaio. Il ragazzo era assegnato al reparto di accoglienza e si trovava in una cella singola. Gli agenti penitenziari hanno scoperto il corpo senza vita. Il detenuto era già noto per precedenti episodi di autolesionismo, motivo per cui si trovava sotto osservazione. Nonostante ciò, il drammatico gesto non è stato evitato. Avrebbe compiuto 26 anni tra pochi giorni. 

Questo suicidio è il secondo registrato in un carcere italiano dall’inizio del nuovo anno. Il giorno precedente, il 2 gennaio, un episodio analogo si è verificato nel carcere Dozza di Bologna. L’ennesimo suicidio riporta alla luce le criticità del sistema carcerario italiano. Il sovraffollamento, la mancanza di personale e le difficoltà nel gestire detenuti in situazioni di fragilità rendono urgenti interventi strutturali. È necessario interrogarsi su come garantire condizioni di vita dignitose e rispettose dei diritti umani, affinché il carcere non diventi, ancora una volta, luogo di tragedie evitabili.


 

“Dopo il suicidio di un detenuto nell’Istituto di Prato a fine anno 2024, a togliersi la vita ieri sera verso le 18.00 di ieri è stato un detenuto del carcere fiorentino di Sollicciano”. A dare la notizia è Francesco Oliviero, segretario per la Toscana del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Il ristretto era di origini egiziane di soli 25 anni e già in passato aveva posto in essere gesti autolesionistici. Pertanto, era stato allocato nel reparto Centro Clinico dell’Istituto. Purtroppo, la situazione degli Istituti penitenziari Toscani è al collasso. Soprattutto nell’Istituto fiorentino da anni non vi sono progetti rieducativi veri ed efficaci, affinché si possa dare una vera possibilità a chi entra in carcere”. Il sindacalista rimarca che “da tempo chiediamo interventi risolutivi all’Amministrazione Penitenziaria a livello locale e nazionale per quanto concerne i lavori di adeguamento della struttura, incremento del personale di Polizia Penitenziaria, fondi per il pagamento dello straordinario e missioni ma soprattutto progetti e percorsi rieducativi con il coinvolgimento dei grandi Brand che possono investire  in progetti lavorativi all’interno delle strutture Penitenziaria. Purtroppo, ad oggi dobbiamo constatare che le nostre richieste cadono nel vuoto”, conclude Oliviero.

Questo ulteriore suicidio avvenuto nel carcere di Sollicciano, a Firenze, deve far riflettere sulla condizione in cui vivono i detenuti e su quella in cui è costretto ad operare il personale di Polizia Penitenziaria”, commenta Donato Capece, segretario generale del SAPPE. “Questi drammatici eventi, oltre a costituire una sconfitta per lo Stato, segnano profondamente i nostri Agenti che devono intervenire”, prosegue. “Si tratta spesso di agenti giovani, lasciati da soli nelle sezioni detentive, per la mancanza di personale. Il suicidio rappresenta un forte agente stressogeno per il personale di polizia e per gli altri detenuti. Servirebbero anche più psicologi e psichiatri, vista l’alta presenza di malati con disagio psichiatrico. Spesso, anche i detenuti, nel corso della detenzione, ricevono notizie che riguardano situazioni personali che possono indurli a gesti estremi”. Capece richiama il discorso di fine anno dal Capo dello Stato Sergio Mattarella e le sue indicazioni per superare l’emergenza penitenziaria: “È vero: sono inaccettabili anche le condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria, impegnato “H24” nelle sezioni detentive e i cui appartenenti sono sempre più vittime di aggressioni e atti violenti dalla parte minoritaria della popolazione detenuta più refrattaria a rispettare l’ordine e la sicurezza anche durante la carcerazione. Ma nei nostri istituti di pena, anche per minori, si può e si deve “potere respirare un’aria diversa da quella che li ha condotti alla illegalità e al crimine”. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo”. La proposta operativa del SAPPE è “prevedere un sistema penitenziario basato su tre “gradini”: il primo, per i reati meno gravi con una condanna non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale l’istituto della “messa alla prova”; il secondo riguarda le pene superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare; il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”. Quello del sovraffollamento, secondo il SAPPE, “è certamente un problema storico e comune a molti Paesi europei, che hanno risolto il problema in maniera diversa – sottolinea Capece – L’osservazione della tipologia dei detenuti e dei reati consente di affermare che il sistema della repressione penale colpisce prevalentemente la criminalità organizzata e le fasce deboli della popolazione In effetti, il carcere è lo strumento che si usa per affrontare problemi che la società non è in grado di risolvere altrimenti”. Il leader del SAPPE conclude evidenziando che “i peculiari compiti istituzionali del Corpo di Polizia Penitenziaria sono richiamati nel motto del nostro Stemma araldico: “Despondere spem munus nostrum (garantire la speranza è il nostro compito)iscritto nella lista d’oro alla base dello stemma. Proprio garantire la speranza è un nostro dovere istituzionale, che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio, nelle carceri per adulti e minori della Nazione, con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità in un contesto assai complicato”. Fonte: SAPPE

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