Le storie che arrivano dalla campagna toscana. Sono sei mila i titolari d’impresa con più di 65 anni.
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“Vado in pensione ed apro un’azienda agricola“. E’ nelle campagne della Toscana la seconda vita dei pensionati. Non sono solo i giovani ad inseguire il sogno contadino, quasi 3 mila in Toscana gli under 35 che guidano una start-up agricola, ci sono anche tanti “senior” che, una volta maturati i requisiti per il pensionamento, continuano a lavorare nella loro azienda o trasformano la curiosità e la passione hobbistica per l’agricoltura coltivata durante il weekend e gli spicchi di tempo libero insieme alla loro voglia spesso di tornare alle origini in una vera e propria attività economica. Per loro la felicità e la qualità della vita non si trova in qualche paradiso all’estero, non è una fuga altrove, lontano, è spesso a due passi da casa, lavorando la terra, potando olivi, curando le vigne, guidando trattori, promuovendo i prodotti del territorio, diventando alfieri della più sincera e genuina ospitalità. A dettare il loro tempo non è più il ticchettio dell’orologio e del cartellino da timbrare, sono i ritmi della semina e della raccolta, dell’autunno e dell’estate, della Luna e del Sole. A rivelarlo è Coldiretti Toscana secondo cui ci sono quasi 7 mila imprenditori agricoli over 65 che continuano a gestire la loro impresa anche dopo la pensione. Tra di loro c’è chi imprenditore agricolo professionale (abilitazione che si conquista solo dopo aver seguito un duro corso di formazione) lo è diventato addirittura solo dopo aver archiviato la precedente professione. La campagna è un antidoto contro la vecchiaia. Lo dicono loro. “L’imprenditoria agricola over 65 è uno spaccato tutt’oggi molto importante della nostra agricoltura che sta vivendo una profonda fase di trasformazione generazionale con tanti giovani che si avvicinano a questo mondo. E questo è un segnale importante per il futuro perché noi non siamo immortali. – spiega Giuliano Scattolin, Presidente di Coldiretti Pensionati Toscana – La passione per questo lavoro non si esaurisce dopo la pensione perché nel frattempo è diventata un stile di vita ed è una medicina per rallentare la vecchiaia. Ci tiene in forma. La Toscana poi è anche una regionale bellissima da ogni latitudine e capisco bene chi sogna di stabilirsi qui. Io faccio parte dei pensionati che non vogliono mollare e che continuano a lavorare ogni giorno ma ho fatto parte anche di coloro che, da giovani, hanno deciso di cambiare lavoro per aprire un’azienda agricola. L’ho fatto 50 anni fa. All’epoca lavoravo come perito elettronico industriale. La nostra missione è lasciare queste terre che coltiviamo con amore migliori di quando le abbiamo prese. E’ il nostro lascito“.
Dall’ingegnere con la passione per gli olivi nel paese natale del genio di Leonardo all’impiegato del Ministero della Difesa che coltiva grani antichi e produce testaroli in Lunigiana fino all’ex macellaio vignaiolo nel Mugello. Sono tante e belle le storie che la campagna Toscana ci racconta. Carlo Bianchi (68 anni) è una delle storie che si trova perfettamente nel mezzo. Ingegnere meccanico per metà della sua vita, giramondo per definizione professionale, ha lavorato per 33 anni in un’azienda di Fucecchio che costruiva macchinari per la lavorazione delle suole delle scarpe fino a quando, nel 2012, ha deciso di licenziarsi, una decina di anni prima di maturare l’età della pensione che ha raggiunto nove mesi fa. Da quel momento si è dedicato anima e corpo a tirare su, un ettaro alla volta, la sua azienda agricola e a far crescere la sua bellissima oliveta nel Comune di Vinci, 6 mila olivi disegnati come su una tela impressionista su 20 ettari in conversione biologica di cui 6 coltivati con il metodo dell’agricoltura naturale. Una produzione di qualità che gli ha aperto le porte del mercato nipponico. I suoi extravergine sono apprezzati e premiati. “Mi accorgo che sono un pensionato perché mi arriva ogni mese la pensione, altrimenti non me ne renderei conto. – racconta Carlo Bianchi – Ho visto tante città e tante fabbriche nell’arco della mia carriera professionale ma il piacere di lavorare all’aria aperta, a contatto con la terra, è impareggiabile. Vivo bene, vivo meglio“. Carlo sta per piantare 110 nuovi ulivi di varietà toscane. La sua linea di orizzonte è il futuro. “E’ stato mio suocero, che era un contadino, a farmi appassionare alle attività agricole. – fa un passo indietro Bianchi – Ho iniziato dargli una mano intorno alla fine degli anni ’90, quando ero libero, per gioco. E sono stato hobbista fino alla decisione di licenziarmi per farne una vera professione. Contento di quella scelta? Avrei dovuto farla prima“.
Andrea Pagani (63 anni oggi) è stato per 43 anni dipendente del Ministero della Difesa. Il suo elisir si chiamano testaroli e sono uno dei piatti più antichi della cucina contadina lunigianesi. Un piatto semplice, preparato solo con farina e acqua e cotto nei testi di ghisa, che Andrea ha “rivisitato” partendo dalla riscoperta di alcune varietà di grani antichi locali coltivati con metodo rigorosamente biologico. I testaroli de “La Rita” si trovano oggi in molti ristoranti e punti vendita che puntano sulla qualità. “Ho recuperato i terreni di famiglia che rischiavano di essere abbandonati ed abbiamo iniziato a fare dei test per trovare le varietà antiche più adatte al progetto che avevo in testa. Volevo provare ad alzare il livello di qualità dei testaroli in commercio producendo una farina biologica e sostenibile. Ci sono voluti quasi due anni di tentativi e analisi per arrivare alla miscela della superfarina a basso contenuto glicemico che costituisce la base della nostra ricetta. Questa fase di studio ci ha permesso di reintrodurre in Lunigiana due varietà locali come il Gentil Rosso ed il Verna che sono diventate marginali a beneficio di altre più industriali”. In questa nuova avventura Andrea ha coinvolto il figlio Sergio che nel frattempo ha maturato una grandissima passione. “Ora so per certo che questa piccola azienda, nata poco prima della pandemia, ha una bella prospettiva. Per motivi di lavoro sono stato via da casa per tanti anni ma appena ho avuto l’occasione di tornare l’ho fatto. Avrei potuto godermi la mia pensione sollazzato in Versilia ma avrei tradito il richiamo delle origini. Mi sento rinato. Lavorare fianco a fianco di mio figlio è un regalo che il tempo ci sta facendo e che apprezzo ogni giorno. Amavo il mio precedente lavoro, ma saltare sul trattore o trebbiare il grano è tutta un’altra cosa“.
Giuliano Mori (73 anni) è sul trattore e sta piantando i pali per la nuova vigna. Per 35 anni ha però lavorato come dipendente nella stessa macelleria a Barberino Tavarnelle nel Chianti. Un mestiere che ha imparato da ragazzino per “non andare a lavorare nelle fabbriche“. “Sono stato un ragazzo di bottega perché questo lavoro non si impara sui libri ma lavorando. E non è nemmeno così facile come sembra. – racconta Giuliano Mori – Mio papà era un norcino e questo percorso era in un certo senso normale per me anche se c’è stata l’occasione per entrare in qualche fabbrica all’epoca. Non faceva per me. Ci ho passato metà della mia esistenza a lavorare in macelleria. E’ stato bello ed appagante. Appena ho potuto, con 37 anni di contributi, sono però andato in pensione perché avevo bisogno di ricongiungermi con la mia infanzia. Avevano un po’ di terreni della famiglia di mia moglie a disposizione e sono partito. Sono in pensione da quasi 20 anni. Oggi lavoro forse più di prima: produco uva da vino, principalmente Sangiovese e olio. Mi diverto; è un’attività che mi tiene giovane“. Fonte: Coldiretti Toscana